Mangiar bene a Roma

A Roma si mangia bene un po’ ovunque, è opinione tanto diffusa quanto errata. Non solo le osterie tradizionali spesso sono solo truffe acchiappa turisti, ma la diffusione dei piatti offerti anche da bar che non hanno cucina, fa sì che a Roma il rischio di mangiar male sia facilissimo.
Bisogna sapere dove andare. A Trastevere ci sono tanti ristoranti, alcuni ottimi, ma il rischio, se non si conosce, è alto: qui sono in agguato – per restare al romanesco – le sole. Se si vuole un quartiere tradizionale, ma meno afflitto dall’offerta corriva e mediocre, bisogna andare a Testaccio, il quartiere più romano che c’è. Qui c’era lo stadio della Roma, prima che fosse costruito l’Olimpico, e qui dunque c’è er core de Roma. Ma qui c’era anche il macello, oggi opera di archeologia industriale che ospita, tra l’latro, il MACRO, il museo di arte contemporanea. E quindi la cucina del Testaccio è cucina macellara, cucina di carne, ma ancor più del quinto quarto. Il cosiddetto quinto quarto è la parte dell’animale di minor pregio, gli avanzi, gli scarti, quindi la coda, il muso e le interiora. La vera, originale cucina romanesca è questa, la coratella e la trippa, la coda alla vaccinara e la pajata.
Testaccio è vicino al Tevere e all’ombra di una collina, ma, attenzione, non si tratta di un ottavo colle, si tratta invee di una collina artificiale costruita da secoli di cocci della anfore olearie e vinarie che venivano sbarcate qui per soddisfare i bisogni della Roma imperiale.
Secoli di anfore rotte (dopo essere state svuotate non potevano essere riutilizzate) hanno prodotto il Monte dei Cocci, come viene ancora chiamato, entro il quale fioriscono ristoranti della tradizione e locali che animano la più scatenata movida della città. Quindi niente amatriciana o carbonara, piatti del contado, piatti burini, niente abbacchio, ma frattaje – come vengono chiamate le interiora – questo è il vero e tradizionale pasto romano.